DALLA PAROLA DEL GIORNO

«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,

perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Gv 3, 14-21

Come vivere questa Parola?

Perché Gesù paragona il proprio “innalzamento”, che allude contemporaneamente alla crocifissione e alla risurrezione, a quello del serpente di bronzo? Nel libro dei Numeri (21, 4-9) si narra che Dio all’ennesima manifestazione di sfiducia del popolo nei suoi confronti comanda a Mosè di costruire un serpente di bronzo e innalzarlo su un’asta, cosicché quanti avrebbero rivolto lo sguardo verso di esso si sarebbero salvati dai morsi dei serpenti velenosi.

Ma perché si salvano solo guardando il serpente innalzato? Il motivo è semplice: per innalzare lo sguardo è necessario distoglierlo da sé, dalla proprie preoccupazioni, angosce e paure. In analogia al serpente di bronzo, il “figlio di Dio innalzato”, il Crocifisso Risorto, ci invita a volgere lo sguardo verso di Lui, spostandolo dalle preoccupazioni che ci bloccano, per credere che la sofferenza, la malattia, la morte non avranno mai l’ultima parola, perché c’è sempre la possibilità di un nuovo inizio, di una vita nuova.

Signore, aiutaci a credere che è nell’esperienza della croce abbracciata con fede che si apre la prospettiva di una vita nuova e piena. Così sia!

La voce di una santa mamma

Mamma Margherita divideva con il figlio a Valdocco una vita di privazioni e sacrifici tutta spesa per i monelli della periferia di Torino. Passarono quattro anni, e lei si sentiva ormai venire meno le forze. Entrò nella stanza di Don Bosco e disse: «Ascoltami, Giovanni, non è più possibile andar avanti così. I ragazzi tutti i giorni me ne combinano una. Ora mi gettano a terra la biancheria pulita stesa al sole, ora mi calpestano la verdura nell’orto. Stracciano i vestiti in modo che non c’è più verso di rattopparli. Perdono calze e camicie. Portano via gli arnesi di casa per i loro divertimenti e mi fanno girare tutto il giorno per ritrovarli. Io, in mezzo a questa confusione, ci perdo la testa, Vedi! Quasi, quasi, me ne ritorno ai Becchi».

Don Bosco fissò in volto sua mamma, senza parlare. Poi le indicò il Crocifisso appeso alla parete. Mamma Margherita capì. I suoi occhi si riempirono di lacrime.

(G.B. LEMOYNE, Mamma Margherita, Torino, SEI, 1956, p. 155-156).

 

 

 

Commento di Don Giuseppe Tilocca

giustiloc@tiscali.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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